lunedì 20 luglio 2015

Griselda Doka





Griselda Doka, una poetessa migrante
di Bonifacio Vincenzi

"Il titolo dell'opera, Agueil, -  scrive Giuseppe Aletti nella prefazione a questo volume collettivo di poesie - implica un viatico romantico, simbolico ed evocativo: il nome di un vento che trasporti questi componimenti in fuga, verso altri territori, altre culture, lettori, autori. All'interno di Agueil, edito da Aletti Editore,  (chiamato anche Aiguolas, è un vento stagionale, presente soprattutto in primavera, che soffia sulla Cévennes meridionale, accompagna o precede la pioggia o la neve) si susseguono, in ordine alfabetico: Samuele Collovà con Ritagli di luce ed ombre; Giovanni De Gattis con Le parole dell'essere; Griselda Doka con Soglie; Anna Iavarone con Ora non voglio saperlo; Lucia Scavo con Cuore nomade; Martina Sergi con Come diamanti."
Partendo da questa puntualizzazione quanto mai opportuna per dare senso a un titolo tanto affascinante quanto, a primo acchito, oscuro, è importante chiarire che io mi occuperò, in questa breve lettura critica, soltanto di un’opera inserita nel volume e, precisamente, della breve silloge di Griselda Doka, Soglie.


Ma perché ho scelto proprio le poesie della poetessa albanese Griselda Doka? C’entra sicuramente la conoscenza personale, ma non è solo questo che mi ha spinto ad intraprendere questo viaggio nel suo particolare mondo poetico ed umano. Gli  interessi scientifici di Griselda Doka si basano sulla lingua e la letteratura albanese, sulle scienze traduttologiche e sulla letteratura della migrazione, con un focus particolare sugli autori di origine albanese. Ha ideato e portato avanti per due edizioni (la III in corso) il Concorso Internazionale della Poesia della Migrazione “Attraverso l’Italia”, patrocinato dal Dipartimento di Lingue e Scienze dell’Educazione dell’Università della Calabria. E da quest’anno supportato anche dall’Istituto culturale della Calabria “Il Musagete” e dal suo presidente Oreste Bellini.


Sul numero uno di Gennaio/Aprile 2014 della rivista culturale “Confluenze” c’è un saggio di Griselda Doka che si intitola Attraversando l’Italia in poesia –Esperienze di poesia migrante. Questo saggio è fondamentale per comprendere anche la sua poesia.
Perché a un certo punto lo scrittore migrante sceglie di esprimersi in una lingua che non è quella madre? Mi ha colpito molto questa domanda che Griselda Doka  pone ad un certo punto del saggio.  La risposta non è semplice. Negli studi sulle migrazioni vi è un dibattito ancora aperto con diverse scuole di pensiero, tutte molto interessanti, ma che forse trascurano un elemento fondamentale. Ogni persona è un mondo e questo mondo solo la poesia ha il potere di svelarlo. C’è un testo molto bello di Edmond Jabès: Il libro della condivisione. È il libro dell’incontro, del dialogo, dell’affermazione della responsabilità nei confronti degli altri. “Attraverso l’altro, - scrive  Jabès -  abbiamo a che  fare solo con noi stessi. A questo patto la condivisione esiste; e perciò alla radice essa è illusoria. L’altro ci restituisce a noi stessi. E viceversa.” Come a dire, riportando tutto questo alla scelta dello scrittore migrante: io scrivo, mi esprimo, attraverso una lingua che non è la mia per donarmi senza condizioni  all’altro, al diverso da me, affinché lui possa restituirmi a me stesso. E tutto questo perché io accetti ed affronti il mio attuale, insostenibile  disagio …
“Temo di non trovare salvezza/ora che non ho radici/la mia collina sulla valle/è solo una fiaba/ raccontata ai miei figli/in un’altra lingua/temo di diventare/un granello d’oblìo/sale sulla sabbia/estranea come quando rifiuto l’appartenenza/e di essere riconosciuta/soltanto nelle tue parole (…)”

Eccolo il disagio. Protagonista assoluto. Non è la nuova lingua che può allontanarlo. È lì nella parola che forgia i suoi legami di silenzio nel silenzio vivo e abissale di un’appartenenza che rivendica il suo pezzo di anima vagante.


È quasi un grido questo di Griselda e risuona in quella verità che la poesia non riuscirà mai a negare …
“(…) sulla soglia/della mia porta/orme fresche/rintracciano la parola (…) nei sogni/la mia voce/incredula si appanna//sulla soglia/del mio risveglio/occhi nuovi/imboccano l’attesa (…)
Non saranno le orme fresche né quelle spazzate via dal vento di Aiugolas a far ritrovare o perdere la strada del cuore. Tutto è davanti a lei fermo: un richiamo sordo che le gravita attorno. Non può scacciarlo perché non vuole né lo vorrà mai. Lei è un pezzo di anima vagante, viva da un’altra parte. Ma è sempre la grande anima del luogo da dove lei viene che sta sognando, attraverso lei,  di vivere un’esistenza straniera ...
(…) Sono quel breve tragitto/che va dalla torre al mare/il tempo dello scorrere del sangue/che sale/dalla gola sulla testa/in apnea/nessuna voce/nessun fruscìo/nelle orecchie/la legge del nulla/e poi il mesto ritorno (…)
Ha strane leggi il Nulla che gli permettono di aprirsi –  direbbe Blanchot  -  “all’immediato e il lontano, a ciò che è più reale di ogni cosa reale che si dimentica in ogni cosa, il legame che non si può legare e attraverso cui tutto, il tutto, si lega.” Ma sono leggi in cui l’essere tiene in scacco il linguaggio e viceversa. A proposito dell’essere, chiamando ancora in causa Jabès, “ altro non sarebbe che le sue possibilità di essere mediante il linguaggio, e il linguaggio, una possibilità di ottenere uno statuto d’esistenza attraverso l’essere.” Ed è in questa sottile  complicità che si gioca gran parte della vita.

Non c’è libertà nella poesia di Griselda, né vi sono catene in questa parola densa, racchiusa nella propria inquietudine, che richiama, interroga e trascina avanti tutto il peso del proprio passato. C’è altro, una vulnerabilità che si offre alla scoperta, anche con forza, determinazione, ma che non smetterà mai di risarcire il suo debito con la propria appartenenza.

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